I tamburi rullano incessantemente, il
cavaliere ha indosso la Maschera di un Dio misterioso e impugna la spada tenendola dritta davanti
a sé. Si leva in piedi sulla sella mentre il cavallo sfreccia a perdifiato sulla pista, al
galoppo sfrenato. Pochi secondi dopo, il boato del pubblico accompagna la punta del fioretto che
infilza la stella. È fatta. La gente acclama Su Cumpoidori ed esulta davanti a quel
trofeo mostrato con orgoglio e vanto.
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È così che lultima
domenica e il martedì di Carnevale, ogni anno, Oristano diventa capitale della Sardegna.
Cè la Sartiglia. Festa dai mille simboli, festa della magia, della prosperità e
della miseria, del dolore e della speranza.
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Da Via SantAntonio, passando per il Duomo, sino a
Via Vittorio Emanuele e Piazza Mannu, un fiume di persone, provenienti dalle città e dai paesi
di tutta lisola, si accalca ai bordi di un tracciato di terra e paglia. Ad ogni edizione, su
quel percorso pestato dagli zoccoli dei cavalli si riversano secoli di storia. E un fragore di urla
e applausi guida le gesta del cavaliere, quando la spada trafigge la stella. La Sartiglia non è una semplice
celebrazione dei riti carnascialeschi, non è nemmeno la riproduzione di una giostra
medioevale, né una mera esibizione di audaci e aitanti cavalieri. Dentro la Sartiglia
convivono elementi di tradizione e cultura tramandati da centinaia danni. In questa
manifestazione, che ad Oristano è vissuta con intensità emotiva indescrivibile sin dai
tempi del Giudicato dArborea, sopravvivono probabilmente alcuni degli aspetti più
interessanti e inesplorati della ritualità pagana, contaminata dai cerimoniali di origine
cristiana.
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