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Anche i travestimenti che precedono la Quaresima hanno una tradizione locale.
Le maschere cagliaritane di fine Ottocento e di inizio secolo sono tuttavia scomparse,
riapparendo saltuariamente solo per iniziativa di qualche circolo folcloristico.
Lunghi cortei mascherati e carri allegorici che ripropongono momenti di vita vissuta
sfilano lungo i rioni storici della città, portando dovunque un clima piacevole di
festosa allegria in una sorta di bolgia scatenata, di sceneggiate spassose e di arene
affollatissime.
Il tutto per celebrare "Su Rei Ciancioffàli" che resta il simbolo popolare della festa
di fine inverno.
Occorre precisare un'altra caratteristica originale del Carnevale
di Cagliari, nel quale, insieme a personaggi dell'etnos locale, rivivono figure come
"le panettèras", ovvero le panificatrici a domicilio, che urlavano in piazza le magagne
di tutti, "is tiàulus", i diavoli che danzavano davanti al rogo finale, oppure "su
caddemis", il pezzente, "sa fiùda", la vedova, "su dottori", il Dottore, "su sabattèri", il ciabattino, "sa dida", la balia non asciutta, maestra di equivoci e tentazioni,
e altri ancora.
All'insegna della confusione prescritta dalla circostanza, nei giorni deputati impazzano
cortei affollatissimi che paralizzano il centro cittadino. Di specifico resiste ancora
il ritmo che scandisce la sfilata delle maschere: sa ratantina, cadenzata dal suono di tamburi e altri strumenti a percussione.
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